593:
Il Papa Gregorio Magno ordina ai monaci del monastero di
S.Andrea, sopra Mascali, di ripristinare la chiesa: "Già
avevamo ordinato che nel monastero di S.Andrea, che si
trova sopra Mascali, dovesse, per colpa dei monaci,
essere ritolto il battistero e fondato un altare nel
luogo medesimo ove erano i fonti". La missiva
pontificia è il primo cenno storico della Villa
Mascalarum e testimonia come questa sia già una città
compiuta, individuabile quale riferimento geografico per
il territorio circostante. Il monastero in questione
era, probabilmente, ubicato ove sorge l'attuale
santuario della Vena, nel territorio di Piedimonte
Etneo.
Qui sarà educato Teofane
Cerameo, nato in una “città nominata Maschalis” (Ceillier),
che, nel IX secolo, diverrà un famoso predicatore.
♦
Gli storici, non rinvenendo ulteriori tracce documentali
dell’esistenza della città in tempi più remoti,
ipotizzano che la fondazione di Mascali sia avvenuta in
questo periodo. Al riguardo, Salvatore Salomone afferma
che: “La terra di Mascali o Mascari, come leggesi
nelle antiche scritture, venne in esistenza sotto il
governo bizantino, verso il VI secolo dell’era nostra, e
fu casale di governatore al tempo dei Saraceni”.
902:
Dopo la conquista di Taormina da parte dell’emiro
Ibrahim, anche il territorio di Mascali viene occupato
dalle forze musulmane che, sin dall'827, avevano
iniziato la conquista della Sicilia.
♦
Il monastero di S.Andrea verrà abbandonato durante
l’occupazione.
1000 circa:
Il geografo Gafar Abu Nasr el-Ahmed Ibn Dawud riferisce
che Mascali è conosciuta per il commercio del legname.
1040:
L’abate Giuseppe Vella inserisce nel suo Codice
Diplomatico di Sicilia anche una falsa lettera
dell’emiro di Catania che invoca l’aiuto dei musulmani
di Messina contro l’esercito guidato dall’ammiraglio
Maniace: “Questa mattina, dopo un’ora di giorno, ebbi
notizia che l’armata nemica era già entrata nel porto di
Ulisse, 7 miglia distante dal porto di Katine, e che
l’esercito nemico era già nella città di Bidiu, 11
miglia distante da Katine”. Sostiene il Vella che
Bidiu, alla quale assegna 1.500 anime, “per questa
distanza doveva essere dove ora è Mascali”.
1050:
Il geografo Abu Ali Hasan cita anche Mascali nella sua
descrizione dell’Etna: “Il monte del fuoco altissimo
sovrasta il mare tra Catania e Mascali, non lungi da
Taormina: gira la base tre giornate di cammino;
abbondante di alberi fruttiferi; irsuto di boschi la più
parte di castagne, nocelle, pini e cedri; ricoperta la
cima di neve anche la state, ammantato di nugoli, ma il
verno è tutto neve dal capo a piè” (tradotto e
citato in Amari).
1081:
Dopo due secoli il territorio di Mascali ritorna
cristiano.
♦
Viene eretto, dove sorge l'odierna frazione di Santa
Maria la Strada, il santuario che Ruggero I il Normanno
ha voluto dedicare alla Madonna dopo un confronto contro
i musulmani. L’etnografo Pitrè, nel raccontare la
leggendaria fondazione del santuario, afferma che i
saraceni incontrati dal Gran Conte Ruggero scendessero “dalle
torri di Mascali”.
♦
Di fronte al tempio si trova l’antico pozzo di Ruggero
o, come scrive Giuseppe Recupero, pozzo Saraceno: “Merita
d’esser considerato un pozzo, che è in faccia della
Chiesa del Vico detto La Strada, posto a poca distanza
appresso le Giarre. Si chiama volgarmente il Pozzo
saraceno per una tradizione antichissima di essere stato
scavato a tempo che quel popolo dominava la Sicilia. La
sua profondità è di centoventitre piedi di Parigi, o
siano centosessanta quattro palmi della nostra canna di
architettura (…). L’acqua di questo pozzo è leggerissima
e morbidissima, benché mandi un debolissimo e quasi
insensibile puzzo; bevendosi però fresca riesce molto
piacevole al palato, e ingagliardisce il vino. Se però
si lascia non più che un giorno intero, allora manda un
odore spiacentissimo come dell’uovo putrefatto, o del
nido de’ piccioni, odore proveniente dal solfo
decomposto per un sale alcali”.
1082:
Mascali ed il suo contado vengono assegnati alla
ricostituita diocesi di Troina.
1096:
Il Conte Ruggero il Normanno fissa i confini della
diocesi di Messina, assegnata al Vescovo Roberto. Del
suo territorio fa parte anche Mascali.
1100 circa:
Al Edrisi, geografo arabo prescelto dal Gran Conte per
la stesura del “Libro di Ruggero” – summa geografica
della Sicilia del XII secolo –, descrive il villaggio di
Mascali con un “villaggio situato in cima d'un alto
monte, prospera per l'industria della sua popolazione.
Sgorgano acque nel bel mezzo del paese"; sul mare
poco distante è sito un secondo centro abitato definito
“Qurtil Masqalah”. Il territorio, coperto da fitti
boschi, è abitato lungo la costa e nella città
fortificata. E’, inoltre, indicata una terza località,
Ajn al Qasab, ossia “la fonte delle canne”, situata sul
litorale: si tratta forse dell’odierna Torre Archirafi.
Sono presenti tre comunità: quella musulmana, quella
greco-bizantina e quella cristiana di rito latino. Il
toponimo di Mascali è di incerta derivazione: alcuni
studiosi propongono una origine greco-bizantina dal
vocabolo “Maschalis”
(boscoso)
mentre altri propendono per l'arabo "Mascar" (campo),
ancorché il geografo arabo Al Edrisi la chiami Masqalah.
♦
Il conte Ruggero I assegna al Vescovo di Catania
Maurizio i feudi di Fiumefreddo ed Aci ma non Mascali,
villaggio, quindi, con propria autonomia dai centri più
vicini.
♦
Nel corso dello stesso periodo una cappella, che sarà
poi detta "l'anticaglia di S.Giovanni", viene costruita
sul litorale di Mascali, ove sorge l'attuale Riposto.
1124:
Il re normanno Ruggero II aggiunge anche Mascali alle
terre di Aci e Fiumefreddo già donate dal padre al
Vescovo di Catania Ansgerio. Questi inizierà ad esigere
il pagamento della decima parte dei raccolti dai
contadini residenti nel possedimento. Successivamente i
vescovi di Catania cederanno Aci e Fiumefreddo ai Baroni
Siciliani, trattenendo Mascali alla mensa vescovile.
♦
Nel diploma di donazione del re Ruggero II, che
definisce Mascali “castello”, è contemplato anche un
diritto di pescaggio per i “piscatores mascalarum”,
testimonianza della presenza di una seconda comunità sul
litorale.
♦
In questo periodo comincia l'attività dei cantieri
navali che, lungo la spiaggia di Mascali, nella
cosiddetta Arzanà (l’Arsenale), sita nei pressi
dell’odierna S.Anna, costruiscono le navi da guerra del
regno normanno; Vincenzo Cordaro Clarenza racconta che "essendo
la Sicilia un isola, forzati venivano gli abitanti a
tenere una flotta per salvarla dalle invasioni e
proteggere il commercio col continente. Perciocché il
savio Re Ruggero ciò conoscendo, concesse a' baroni
(...) alcuni feudi coll'obbligo di dare de' generi da
servire di fornimento a vascelli (...). Così il
feudo di Migeti, donato alla università di Nicosia, fu
assoggettato da Guglielmo II alla prestazione di 96
vascelli ed al trasporto della legna nello arsenale di
Mascali".
1125:
Il Vescovo di Catania Maurizio lamenta al sovrano
Ruggero II l’insufficienza dei pascoli per le mandrie di
proprietà della mensa episcopale. Il Conte garantisce la
disponibilità di ampi appezzamenti tra Catania e
Lentini, proibendo, al contempo, la trasformazione in
pascolo del bosco di Mascali per non arrecare
pregiudizio ai diritti dei monaci. Le navi che viaggiano
per servizio tra Catania e Mascali vengono esentate dal
pagamento delle imposte mentre ai locali viene concesso
il diritto di pesca nelle acque del litorale
(Townsend
White).
1137:
E’ percepito anche a Mascali il violento terremoto che
provoca la morte di oltre 15.000 persone a Catania e nei
centri limitrofi.
1144:
L’Archimandrita basiliano del convento di San Salvatore
di Messina vorrebbe costruire un mulino in un suo
possedimento nei pressi del mulino di Mascali che
appartiene alla diocesi di Catania. Il Vescovo Iveno
risolve la lite accordando il permeso
(Townsend
White).
1151:
Nella bolla concistoriale di Papa Eugenio III, Mascali
viene confermata nella diocesi di Messina: il potere
temporale verrà, quindi, esercitato dal Vescovo di
Catania mentre la giurisdizione ecclesiastica dal
Vescovo di Messina.
1169:
Il 4 febbraio una forte scossa sismica colpisce l'intera
costa jonica provocando oltre 20.000 morti nella Sicilia
orientale: Mascali viene probabilmente distrutta dal
sisma.
1213:
L'imperatore Federico II sottrae il feudo di Mascali al
Vescovo di Catania a causa della mancata sottomissione
di quest’ultimo alla corona: gli verrà restituito dopo
il pagamento di una ingente somma; Vincenzo Cordaro
Clarenza racconta che "Avendo il Vescovo di Catania
nel 1213 mancato di prestare il preteso servigio come
barone, da Federico imperadore, che di richiamare al
trono tutti i diritti usurpati dalla sede romana sotto
Innocenzo III ad ogni costo procurava, tolti gli vennero
la Contea [sic] di Mascali e lo stato di
Caltabiano, che fu conceduto dallo stesso imperadore al
Conte di Armaleone; quantunque appresso Federico in
Catania trovandosi, dalle preghiere del Vescovo mosso
nel primiero possesso restituito l'avesse, coll'obbligo
di partecipare una ricompensa di 15.000 tarì al conte
surriferito".
1216:
Papa Onorio III conferma Mascali nella diocesi di
Messina.
1228:
Guglielmo, Vescovo di Catania, ottiene l'investitura del
feudo di Mascali.
1229:
Nel suo Dizionario geografico, l’erudito musulmano Iaqut
censisce anche “la terra di Mascali”.
1236:
Anche Papa Gregorio IX conferma l'appartenenza di
Mascali alla diocesi messinese.
1269:
Il nuovo re Carlo d'Angiò, che nel 1266 aveva
conquistato la Sicilia sconfiggendo a Benevento l’ultimo
sovrano svevo, concede nuovamente Mascali al Vescovo di
Catania per ringraziare il Pontefice del sostegno
accordato.
1285:
Mascali passa nelle mani dell’ammiraglio Ruggero di
Lauria, alleato degli aragonesi.
♦
Una colata lavica interessa il lembo meridionale del
territorio di Mascali corrispondente all'attuale Dagala
del Re.
1297:
Mascali viene “posta a sacco e a guasto” (Amari)
da Giovanni di Lauria, nipote dell’ammiraglio Ruggero.
Riferisce Giuseppe Costanzo che: “in questo mezzo
Giovanni Lauria nipote di Ruggieri alzò le bandiere del
Re di Napoli in Castiglione, e nell’altre fortezze che
si tenevano per il zio, e havendo tentato di prendere in
tempo di notte per furto Randazzo, fu discoperto, e
fatto ritirare; ond’egli con Tomaso da Leontino,
Guillelmo Pallotta, e gli altri adherenti del zio
presero e saccheggiarono Mascari, e si ritirarono con la
preda a Castiglione”.
1300 circa:
A Mascali non vi sono più tracce della componente
musulmana mentre sono attive due chiese, quella di Santa
Maria degli Angeli di rito latino e quella di San Nicola
di rito cristiano scismatico d'Oriente, oltre ad un
piccolo tempio sul litorale, forse la cosiddetta
anticaglia di S.Giovanni.
1310:
Nelle "Ragioni delle decime per gli anni 1308-10" si
legge che Mascali è tassata per 16 tarì, il che, secondo
alcuni studiosi, fa dedurre che la popolazione fosse
composta da 10 famiglie, cioè circa 60-100 persone.
1329:
Mentre una colata lavica lambisce Mascali, l’abitato è
colpito da un sisma: "Nell'anno del Signore 1329 alli
28 giugno, declinando all'occaso il sole, l'Etna con
orrendo movimento tremò (...). Nelle vicine
spiagge di Mascali i barcaiuoli colpiti dal terrore
palpitante, videro rimbalzate dalle frequenti valide
scosse e notanti in mare le barche ed i battelli che
poco pria tratto avevano a terra" (Fazello).
Vincenzo Cordaro Clarenza racconta che "da testimoni
oculari ci vien riferito che nell'anno 1329 la sera del
28 giugno dietro molti urli tuoni e muggiti, un cratere
nel monte Etna nella rocca di Musarra si aperse e un
terribile fuoco ne venne fuori. Vari scogli vicino a
Mascali collo scotimento in mare precipitaronsi".
Sull’argomento, Caio Domenico Gallo riferisce che “dopo
aver mandato orribili muggiti, e fattosi a sentire con
iscuotere più volte la terra, con la rovina di molti
edifizi, e con tanta forza, che nella spiaggia di
Mascali, alcuni navigli tirati in terra, furono spinti
violentemente nel mare”.
Dalla descrizione del Fazello, sembra desumersi che
l’abitato di Mascali sia composto da un castello e da un
ulteriore villaggio lungo il litorale.
1339:
Un episodio narrato da Giovanni Luigi Lello evidenzia la
pericolosità del fitto bosco di Mascali. L’Arcivescovo
di Monreale, visitata l’abbazia di Santa Maria di
Maniace e “havendola trovata in rovina così nel
temporale, come nello spiritoale, si risolse di
riformarla”; cacciati, perciò, alcuni monaci, li
sostituisce con altri fatti venire da Catania. A causa
delle continue angherie perpetrate dai vecchi monaci ai
danni dei nuovi arrivati, l’abate Angelo di Sinicio si
reca dal Duca Giovanni d’Aragona per ottenere il suo
appoggio, ma “nel viaggio nel bosco di Mascali li
furono poste insidie da un monaco, il peggiore dei
cacciati” (Lello). L’abate, scortato dai monaci,
riesce comunque a raggiungere Catania.
1340:
Giovanni d'Aragona, reggente del Regno di Trinacria, fa
costruire la chiesa di S.Andrea apostolo sulle falde
dell'Etna; nelle sue vicinanze sorgerà il piccolo borgo
del Milo. Il sovrano trascorrerà diversi periodi di
riposo "nella casa addetta alla chiesa di S.Andrea
che egli aveva edificato" (Di Blasi). Singolare è la
storia del monastero, ritenuto presto inadatto alla vita
monastica per la bellezza del luogo in cui sorge.
Leggiamo, infatti, dal Recupero che “Simone de Puteo
Vescovo di Catania poscia concesse questa chiesa con
tutta la sua contrada ai Certosini per fabbricarvi un
convento. Ma Fra Guglielmo di Tolosa, Priore della
Certosa di Nuovaluce, appena veduta l’amenità del luogo,
e quella campagna salubre e ridente, la rinunziò come
luogo disadatto alla vita mortificata e penitente dei
religiosi. Quindi il menzionato Vescovo coll’intervento
di Mafredo d’Alagona eresse quella chiesa in Priorato, e
fu intitolato a S.Andrea supra Mascalas. Riuscì
coll’andare del tempo a Simone di Negroponte Sacerdote
di Randazzo ottenerla per celebrarvi con altri preti i
divini uffici. Finalmente questo Priorato fu unito alla
Mensa vescovile, e le sue entrate spettano oggi
all’affitto di Mascali membri di detta azienda”.
1347:
In inverno, l’epidemia di peste nera, trasportata dalle
galere genovesi provenienti da Costantinopoli e sbarcate
a Messina, provoca migliaia di morti in tutta la
Sicilia. Diverse anche le vittime a Mascali.
1348:
Il 3 aprile Giovanni d'Aragona muore di peste nel
territorio di Mascali: si era rifugiato nel convento di
S.Andrea, vicino Milo, per scampare all'epidemia.
Isidoro La Lumia racconta che “il duca Giovanni,
allibbito all’aspetto di tanto sterminio e procurando di
evitarlo, uscia da Catania, lasciava le abitate
contrade, vagava per le foreste dell’Etna. Presso il
territorio di Mascali, in una chiesetta che aveva
edificata egli stesso e intitolata a Sant’Andrea,
attendevalo la estrema sua ora: fine oscura e poco
gloriosa per certo; ultima perdita che alla Sicilia
toccasse, ultimo schermo ritolto all’anarchia
sovrastante. Correva l’aprile del 1348: e quindi a poco
scemavasi la violenza del morbo, finchè, dopo sei lune
dal primiero suo nascere, dissipavasi al tutto”. In
punto di morte, Giovanni designa Blasco Alagona tutore
del nuovo sovrano, il tredicenne Ludovico. La scelta
inattesa avvia un lungo conflitto tra i nobili siciliani
con la contrapposizione della fazione latina, favorevole
agli Angioini (famiglie Chiaramonte e Ventimiglia), e
catalana, favorevole agli Aragonesi (famiglie Alagona e
Moncada).
1353:
In maggio, grazie alla mediazione di Costanza, badessa
del monastero di S.Chiara di Messina e sorella maggiore
del re Ludovico, ha luogo in Mascali un tentativo di
conciliazione tra le fazioni catalana e latina ma le
severe condizioni imposte dai chiaramontani fanno
desistere Blasco Alagona dall’incontare il re a
Taormina. Al riguardo, Isidoro La Lumia racconta che “fattogli
intendere che la Badessa bramava stringersi seco a
convegno, con due navi catalane [Blasco] si
accostò alla riva di Mascali: Costanza da Taormina vi si
trasportava ugualmente: ed ebbero insieme lunghe parole,
la somma di cui fu che Blasco dovesse personalmente
conferire col re. Intorno a ciò, adducendo il gran bene
che sarebbe da un’intero oblio de’ civili dissidi per
derivare alla Sicilia, la Badessa interpellava i
Chiaramonte”. Prosegue Niccolò Palmeri: “Risposero
[i Chiaramonte] non opporsi a ciò, purchè ognuna
delle due parti non avesse più che otto persone di
seguito, e il colloquio fosse pubblico. Tanto audaci e
diffidenti eran costoro, e tanto avvilita la sovrana
autorità. Il gran giustiziere rise a quella proposizione
e fe’ ritorno in Catania, e il re in Messina”.
1355:
I flagelli della carestia e di una invasione di
cavallette si abbattono su tutta la Sicilia; il giovane
re Ludovico cerca rifugio a Mascali, come narra il di
Blasi: “La carestia che si sperimentava (…) quasi
dappertutto per la Sicilia, nascea principalmente dalle
scorrerie che di continuo si facevano fra le nemiche
fazioni, e nelle guerre ancora, giacchè le braccia, che
doveano coltivare la terra, erano quasi tutte impiegate
a maneggiare le armi, oltre i molti individui, che
morivano nelle battaglie e nelle scaramucce. Ma in
questo anno 1355 un altro più terribile flagello
afflisse la Sicilia, e che apportò la fame, e la
universale epidemia. Una prodigiosa quantità di
cavallette venne dall’Africa ad infestare la nostra
isola a quindici di Maggio, e vuolsi che fosse così
numerosa, che sino ne oscurò l’aria. Questi perniciosi
animali posando sulle nostre terre si trattennero per
parecchi giorni in tutte le contrade della Sicilia,
pascendosi di tutte l’erbe, e biade delle nostre
campagne (…). Dopo di essersi saziati questi insetti
colle nostre biade, e di avere tutte consumate, mancando
loro il pascolo, volarono per portarsi altrove, ma non
potendo reggere alla violenza dei venti, caddero in
mare, e morirono. Sbalzati dalle onde alle spiagge si
accostarono, e corrompendosi i loro corpi, infestarono
l’aere, per lo che ne avvenne una mortale epidemia, che
trasse al sepolcro una moltitudine di persone (…) Il Re
però con suo fratello D.Federico, scappò da Catania,
dopo la morte del cugino [Federico, duca di Randazzo,
n.d.a], ed andò a Jaci, e di poi a Mascali, dove
Federico si ammalò di febbre, ma presto se ne guarì,
onde nel dì seguente partirono per Messina”.
♦
Il 16 ottobre il re Ludovico muore nella fortezza d’Aci,
dov’era rientrato da Messina.
1357:
Mascali viene conquistata e saccheggiata dai
chiaramontani, come racconta Filippo Pagano: “Raccolti
trecento cavalli ed altrettanti pedoni, s’erano a questi
aggiunti settecento cavalieri siciliani di parte sua.
Riunitisi tutti, qua e là scorrazzando, tutto il paese
di là da Montalbano, tenevano Francavilla e Castiglione;
e trovandole ben munite e difese, prendevano e
saccheggiavano Linguagrossa, Mascali ed Aci e ponevano
da ultimo l’assedio a Catania”. Nel corso
dell’assedio di Mascali, i francesi d’Angiò e gli
abitanti di Calatabiano e Taormina, loro alleati, aperta
una breccia nelle mura del castello, annientano i
difensori massacrando gran parte della popolazione: “alla
fine, dopo aver presa ogni cosa, diedero fuoco alle case”
(Ferrara). I superstiti, fatti prigionieri, sono
rinchiusi nelle carceri del castello di Calatabiano.
Scrive il Fazello che "I Taormitani fecero le
scorrerie per insino a Mascali, ch'era soggetta a Blasco
(...). I Taormitani ed i Caltabianesi, i quali provocati
una volta s'erano astenuti dall'arme, ripigliandole di
nuovo assaltaron Mascali e presala per forza e
saccheggiatala, vi posero il fuoco e la rovinarono
insino da' fondamenti, arsero poi gli amenissimi campi".
Tanto abbondante è il frutto dei saccheggi che “i
soldati erano talmente arricchiti con simili prede che
nel comprare pagavano non a tarì ma a fiorini di cui
ognuno ne valeva sei” (Ferrara). Caduta Mascali, la
fine di Catania sembra vicina, ma ad Ognina la flotta
aragonese ha il sopravvento su quella avversaria ed
Artale Alagona passa al contrattacco respingendo gli
angioini verso Taormina. Il 24 di agosto le truppe
aragonesi prendono Calatabiano e i mascalesi prigionieri
vengono liberati. Nei pressi di Mascali, le popolazioni
locali assaltano l’armata francese in ritirata, come
annota lo storico messinese Caio Domenico Gallo: “giunto
in Mascali, li Tauromenitani, Castiglionesi e quei di
Linguaglossa, ed altri abitatori del monte Etna fatto un
corpo numeroso di milizia, l’assaltarono in guisa da
tutte le parti, che in rotta lo posero, ed indi in una
vergognosissima fuga, con la morte di due mila de’ suoi,
restando gli altri prigionieri, fra quali Raimondo del
Balzo gran Cameriero del re, che fu mandato a custodirsi
nella fortezza di Francavilla”. Il barone Mortillaro
sottolinea il grande bottino requisito ai francesi: “I
galli che assediavano i dintorni di Catania levarono di
là l’assedio, e l’alloggiamento posero in Mascali. Ciò
inteso dagli Etnei assaltarono l’alloggiamento dei
nemici, ed in fuga li posero; per il che un grosso
bottino ne rilevarono”.
1372:
La pace di Avignone conclude la guerra del vespro tra
gli angioini e gli aragonesi. Anche Mascali beneficia
del lungo periodo di distensione politica.
1400 circa:
Si registrano le prime concessioni enfiteutiche delle
terre di Mascali da parte dei vescovi di Catania. La
grande pianura mascalese, che dal castello giunge quasi
sino ad Aci, è occupata da un fitto ed impenetrabile
bosco. I primi coloni, dietro il pagamento di un canone
proporzionale al raccolto, si impegnano a migliorare e a
rendere produttivi i fondi concessi dal Vescovo.
1408:
Una lapide funeraria, rinvenuta nel XX secolo
all’interno delle cripte del Duomo di Giarre, è il più
antico documento delle origini della città. E’
probabilmente in questo periodo che un piccolo borgo di
case comincia a formarsi in un fondo della pianura ad
alcune miglia dal castello mascalese. Il toponimo
deriverebbe dalle giare usate per la raccolta delle
decime dovute al Vescovo; “giarr” è, infatti, un
termine di origine araba usato per indicare i
recipienti.
1414:
Il Vescovo di Catania cede in enfiteusi a Raimondo
Montecateno, conte di Adernò, alcuni terreni del feudo
di Mascali.
1428:
Un funzionario regio commissiona la costruzione di una
nave ai cantieri dell’Arzanà. Alla richiesta si oppone
la città di Catania che "temeva la rojna et
destrucioni" del bosco di Mascali (Cordaro Clarenza).
L'evento testimonia come sia già in atto il
disboscamento del territorio mascalese, dove ha,
peraltro, sede il Rettore del bosco con il compito di
prevenire abusi sul patrimonio boschivo della mensa
vescovile catanese.
1434:
Alfonso d'Aragona fa dono ai massari di Giarre del dazio
della quartuccia, una imposta sul vino.
1443:
Dopo nove anni, Alfonso d'Aragona cede a Giovanni
Montecateno la gabella "vulgariter detta della cascia
del vino": "ognuno che vende a minuto per tutto
il territorio della città di Mascali, come nelle taverne
barache poteghe ed altri luoghi" deve versare
l’imposta nelle casse del conte.
1447:
Il Senato di Catania rivendica l’appartenenza alla città
del casale di Mascali.
1450 circa:
Viene costruita una chiesetta all'Arzanà (S.Anna), nei
pressi della palude dell'Auzanetto: ha una piccola torre
d'osservazione e, nei suoi pressi, è sita una dogana.
1487:
Il re di Spagna, Ferdinando II il cattolico, istituisce
il Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia. Condannerà,
tra gli altri, diversi abitanti della Contea come, ad
esempio, Lorenzo Traxia “nativo ed abitante della
terra di Mascali, di anni 30, contadino (…)
bestemmiatore ereticale” che, nel XVII secolo, verrà
“giudicato a pubblica frusta con cento azotte e per
anni cinque su le regie galere senza soldo al remo”
o “Antonino Casale, nativo di Mascali e abitatore
della città di Jaci Reale, Diocesi di Catania, di anni
36, Bordonaro, bestemmiatore ereticale abjurò de levi.
Uscì nel pubblico spettacolo con mordacchie in bocca, fu
condannato alla pubblica vergogna per la città di
Palermo, senza sferzate, ed esiliato per un anno da
Mascali, Ciarri, Palermo e Corte di Sua Maestà” (Mongitore).
1490:
Il convento di S.Francesco di Catania acquisisce, "sotto
l'obbligo di celebrazione di messe", il dazio della
quartuccia riscosso a Giarre; conserverà il privilegio
sino al 1843.
1505:
Il 21 luglio un ordine del Vescovo di Catania Giovanni
Colonna, contro le pretese dei giurati di Catania che
volevano "costringiri li inquilini e massari di lo
fego e baronia d Mascali a purtari la rata di loro
frumenti in quissa citati", stabilisce che Mascali è
di esclusiva proprietà del vescovo-conte, "tanto
magis che la predicta baronia è territorio separato"
dalla città di Catania.
Il Vescovo-Conte ordina che nessuna ulteriore angheria
venga compiuta dai catanesi nei confronti dei coloni: “per
la presenti vi diciamo, e comandamo expresse, quatemus
essendo ditta Baronia di Maschali separata, e segregata
iurisdictioni di quissa citati, ve esponitur, nullo
patto diggiati molestari li Inquilini e Massari di ditto
Fego e Baronia portari rata alcuna di loro frumenti, ma
di quilla ci lasceriti fari ad libitum voluntatis, come
patruni, e non sudditi ad essa Universitati. E quatemus
li havissiro in aliquo molestato, ogni cosa tornariti ad
pristinum e praemissa cum effectu exquamini, nullo alio
a nobis expectato mandato” (cit. in De Grossis).
1518:
Una nave di pirati nord-africani naufraga sul litorale
di Mascali: l’equipaggio, catturato dai locali, verrà
impegnato ai remi delle galere siciliane.
1524:
Il 16 settembre “in lo casali di Mascali calaro
tridichi fusti di turchi e misero in terra circa 400
pirsuni la mattina all’alburi et andaro fino a lu
casali, circa miglia dui intro terra”: l’incursione
piratesca si conclude con la deportazione di “circa
octanta pirsuni infra homini donni e pichulilli” che
verranno venduti come schiavi (Caruso).
1526:
In aprile Mascali è coperta dalla cenere dell'Etna.
1528:
Il viceré Pignatelli stabilisce che, anche in tempo di
guerra, Mascali è soggetta soltanto al Vescovo: "in
tempo di la difesa nixuno officiale del regno può
intrari nel territorio di Mascali e quatemus alcuno
duranti ditta difisa fussi molestato innanti vui eo ipso
lo dobbiate rimettiri a ditto rev.mo esponente e soi
officiali".
1537:
A causa dell’incremento delle incursioni piratesche, il
viceré Gonzaga dispone la realizzazione di un sistema di
torri di avvistamento e di difesa lungo la costa
orientale. Numerose torri svetteranno nel territorio di
Mascali, divenendo il simbolo della Contea; tra queste
ricordiamo la torre di Mascali, distrutta durante
l'eruzione del 1928, la torre di Giarre, abbattuta verso
il 1860, le torri di Malogrado, nei pressi dell’odierna
S.Maria la Strada e forse di origine saracena, la torre
Rossa, ai confini settentrionali della Contea, verso
Fiumefreddo e quella di Torre.